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Plusdotazione e nuova legge 2025: cosa cambia per gli studenti ad Alto Potenziale Cognitivo

Cos’è la plusdotazione o Alto Potenziale Cognitivo (APC)

La plusdotazione o alto potenziale cognitivo (APC) riguarda studenti con capacità intellettive superiori alla media, identificati da un quoziente intellettivo superiore a 130 (range medio: 85 – 115; intelligenza superiore: 116 – 129). Nonostante, in Italia, circa il 5-8% della popolazione scolastica – oltre 430 mila studenti – rientra in questa categoria il sistema scolastico non ha ancora previsto un adeguato riconoscimento o supporto.

Caratteristiche degli studenti plusdotati

I ragazzi plusdotati mostrano capacità avanzate rispetto ai coetanei dello stesso grado di scolarizzazione in ambiti logici, linguistici, matematici o artistici. In particolare presentano: memoria eccellente e vocabolario precoce (iniziano a parlare prima della media e utilizzano parole più complesse e frasi più articolate rispetto ai loro pari), insaziabile curiosità, pensiero divergente (percorsi mentali ramificati con associazioni originali), intensa sensibilità emotiva, forte senso morale e di giustizia, perfezionismo e autocritica, sviluppo cognitivo molto precoce non accompagnato da altrettanta maturità emotiva (questo squilibrio può portare a disagio).

Una normativa fino a oggi insufficiente

Fino a oggi, la normativa italiana ha preso in considerazione soprattutto DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) e BES (Bisogni Educativi Speciali) con leggi e direttive specifiche. La plusdotazione, invece, è rimasta spesso nel limbo, senza un riconoscimento chiaro né interventi dedicati. Alcune scuole italiane hanno scelto di includere questi alunni tra i BES, attivando Piani Didattici Personalizzati (PDP), anche in assenza di diagnosi formali.

La nuova legge 2025: il disegno di legge n. 180

Un punto di svolta è arrivato nel 2025, con l’approvazione del disegno di legge n. 180 da parte della Commissione Cultura del Senato, che riconosce ufficialmente gli alunni plusdotati e introduce interventi concreti per il loro sostegno.

Cosa prevede il disegno di legge

Il ddl prevede:

  • Criteri chiari e multidisciplinari per il riconoscimento dell’APC;
  • Linee guida nazionali per l’inclusione scolastica, con attenzione alla prevenzione del disagio emotivo e relazionale;
  • Un referente APC in ogni scuola, con formazione obbligatoria e continua;
  • Obbligo di formazione per docenti e dirigenti scolastici;
  • PDP personalizzati: possibili salti di classe, frequenza anticipata di materie, arricchimenti curriculari, tutoraggio e gruppi di studio tra pari;
  • Coinvolgimento attivo delle famiglie e degli specialisti;
  • Monitoraggio periodico, anche con supporto esterno;
  • Integrazione dei temi legati alla plusdotazione nei percorsi universitari di area educativa e psicologica.
Perché serve una legge sulla plusdotazione

Queste misure rispondono a un’esigenza concreta: spesso i bambini plusdotati si annoiano, si isolano o mostrano scarso rendimento scolastico a causa della mancanza di stimoli adeguati. Secondo studi internazionali, fino al 17% di questi alunni può rischiare l’abbandono scolastico se non adeguatamente riconosciuto e sostenuto. L’Italia è tra i pochi Paesi europei privi di politiche sistemiche in materia, nonostante le raccomandazioni UE. Dopo l’approvazione in Commissione Cultura, il disegno di legge attende il passaggio in Aula e il parere della Commissione Bilancio.

Il riconoscimento dell’APC: una sfida complessa

Il riconoscimento dell’APC richiede strumenti diagnostici mirati, competenze interdisciplinari e attenzione al contesto emotivo e familiare, specialmente nei casi di “doppia eccezionalità”, in cui l’alto potenziale si accompagna a disturbi come DSA, ADHD o problematiche emotive. In questi casi, le difficoltà possono nascondere il talento, ostacolando diagnosi e interventi efficaci. Quando la scuola rileva un possibile APC, ha il dovere di informare la famiglia, che può attivare il percorso diagnostico con strutture specializzate.

Il ruolo centrale dei genitori

Fondamentale è anche il ruolo dei genitori, che devono:

  • Osservare e ascoltare il bambino;
  • Offrire stimoli e materiali adatti ai suoi interessi;
  • Sostenere emotivamente e creare un ambiente sicuro;
  • Collaborare con la scuola;
  • Ricorrere a specialisti se necessario;
  • Aiutare il figlio a gestire ansie e perfezionismo.

Un genitore consapevole può essere una risorsa fondamentale per far emergere serenamente il potenziale del bambino senza farlo sentire diverso o incompreso.

 

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Selettività alimentare nei bambini: cause, strategie e consigli pratici per genitori

Mangiare è molto più di un bisogno fisiologico: rappresenta un momento di scoperta e relazione. Tuttavia, per molti bambini, il pasto può trasformarsi in una sfida vissuta con ansia, rifiuto o selettività estrema verso il cibo.

Cos’è la selettività alimentare?

Tra i 2 e i 6 anni, i bambini sviluppano gusti marcati o diffidenza verso nuovi alimenti, sapori e consistenze. Quando però la dieta si riduce a pochi cibi “sicuri” e ripetitivi, si può configurare una fragilità nota come selettività alimentare, che in alcuni casi può rientrare nel Disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo (ARFID), riconosciuto nel DSM-5.

Questo disturbo si manifesta con la preferenza per cibi solo di specifici colori o consistenze, l’evitamento di intere categorie alimentari o la paura intensa di soffocare o vomitare, portando a conseguenze come perdita di peso, carenze nutrizionali o isolamento sociale.

Le cause della selettività sono molteplici e complesse: possono derivare da ipersensibilità sensoriale (verso odori, sapori e consistenze), esperienze traumatiche legate al cibo (soffocamento o vomito), difficoltà relazionali o condizioni neuropsicologiche, come nei disturbi del neurosviluppo. Spesso, la selettività è anche un modo per comunicare disagio emotivo o relazionale.

Strategie cliniche per supportare l’accettazione del cibo

Le strategie più efficaci prevedono percorsi personalizzati che tengono conto delle caratteristiche e dei bisogni specifici del bambino:

  • Rinforzo positivo: ogni volta che il bambino accetta o assaggia un alimento nuovo, riceve stimoli gratificanti come attenzione, giochi o parole di incoraggiamento, per aumentare la probabilità che ripeta il comportamento.
  • Desensibilizzazione graduale: l’esposizione agli alimenti rifiutati avviene in modo progressivo, iniziando dall’osservazione, passando al contatto tattile e fino al leccare o assaggiare, sempre in un contesto sereno e senza pressioni.
  • Presentazione strutturata: il modo in cui vengono offerti gli alimenti è studiato con cura, per esempio presentando contemporaneamente o in sequenza cibi familiari e nuovi, per ridurre l’ansia e facilitare l’esplorazione.
  • Training sensoriale: tramite attività ludiche e guidate si stimolano i sensi coinvolti nell’alimentazione (vista, tatto, olfatto, gusto) aiutando il bambino a familiarizzare con consistenze, colori e odori diversi, migliorando così la tolleranza sensoriale.

Alcuni interventi si focalizzano sui comportamenti durante il pasto (evitamento, vomito, espulsione del cibo), altri sui fattori predisponenti, come l’ambiente, la modalità di presentazione del cibo e la relazione adulto-bambino.

L’approccio più efficace è quello personalizzato e centrato sui bisogni del bambino, in un contesto relazionale e accogliente che lo faccia sentire libero di esplorare il cibo senza pressioni né giudizi. Il pasto diventa così uno spazio emotivo e di crescita, dove il cibo è uno strumento per sviluppare fiducia e autonomia.

Consigli pratici per i genitori

Anche senza interventi specialistici, la famiglia può favorire piccoli cambiamenti importanti:

  • Proporre regolarmente nuovi alimenti senza forzare; anche solo esporli visivamente è un primo passo.
  • Coinvolgere i bambini nella preparazione dei pasti, stimolando il contatto con ingredienti di diverse consistenze e colori.
  • Evitare ricatti o pressioni, che aumentano ansia e resistenza.
  • Creare un’atmosfera rilassata e prevedibile, con routine chiare, tempi limitati e poche distrazioni.
  • Valorizzare piccoli progressi rispettando i tempi del bambino.

Comprendere la selettività alimentare significa leggere il comportamento come espressione di bisogni corporei, emotivi e comunicativi. Attraverso giochi, narrazioni e manipolazione degli alimenti, il cibo da ostacolo si trasforma in risorsa e il pasto diviene uno spazio in cui il bambino si sente accolto e libero di esplorare.

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Cos’è stato per te il CRC News? Quando la scrittura diventa cura

La scrittura è spesso una delle abilità più complesse per i bambini con disturbi specifici dell’apprendimento.
Scrivere significa pianificare, organizzare, esprimere un pensiero in modo coerente. È un’attività che richiede concentrazione, fiducia in sé stessi, consapevolezza delle proprie capacità. E spesso, per alcuni bambini, è fonte di fatica e frustrazione.

Il CRC News: un’esperienza coinvolgente per crescere scrivendo

È proprio da questa consapevolezza che nasce, nel 2022, il CRC News: un progetto clinico-riabilitativo che ha trasformato il laboratorio di scrittura in un’esperienza viva, creativa, emotivamente coinvolgente. Un giornalino mensile interamente scritto dai giovani pazienti del CRC, pensato per far crescere competenze linguistiche, sociali ed emotive attraverso un’attività cooperativa, autentica e fortemente motivante.

Ogni bambino, una volta scelta la propria area d’interesse, ha potuto scrivere articoli, intervistare personaggi pubblici, partecipare a eventi culturali e condividere il proprio lavoro con il gruppo e con le famiglie. Ma soprattutto, ha trovato uno spazio in cui sentirsi protagonista, ascoltato, riconosciuto.

Cos’è stato per te il CRC News?

Come spiega la dottoressa Valentina Belli, logopedista referente del progetto, il CRC News ha rappresentato “un modo diverso di vedere l’attività riabilitativa e il concetto stesso di prendersi cura”. Si è creato un ambiente emotivamente ricco, in cui “non solo si affinano competenze, ma si attiva una sintonizzazione affettiva e relazionale basata sulla cooperazione”. L’orgoglio per gli articoli pubblicati, l’apprezzamento delle famiglie, la forza del gruppo: tutto ha contribuito a rendere il percorso riabilitativo un’esperienza di crescita.

Parlano i terapisti: un nuovo modo di fare riabilitazione

Anche i terapisti che hanno accompagnato i bambini sottolineano l’importanza dell’esperienza.
La dottoressa Ludovica Granieri, logopedista che ha seguito e partecipato al progetto con alcuni dei suoi pazienti, parla di “un’opportunità preziosa: ha dato voce ai ragazzi, stimolando autostima, senso di responsabilità e spirito di collaborazione”.
Invece, la dottoressa Caterina Marchesi, logopedista, evidenzia come il progetto abbia permesso di lavorare sulla scrittura con livelli altissimi di motivazione, trasformando “il senso di inadeguatezza e frustrazione, spesso associato alla scrittura, in momenti di gioia condivisa indimenticabili.”
La dottoressa Chiara Lupis, Neuropsichiatra Infantile, racconta di un bambino che ha iniziato a fare esperienze appositamente per poterle raccontare: “Scrivere e fare esperienze di cui poter parlare: un doppio obiettivo molto utile. E, soprattutto, una maggiore apertura sociale.”

Ospiti speciali e incontri memorabili

Nel tempo, il CRC News ha coinvolto numerosi ospiti del mondo dello spettacolo, della cucina, dello sport, della cultura e della scienza. Le loro parole raccontano la sorpresa e la profondità di questi incontri.

Queste parole confermano ciò che il progetto ha saputo costruire: non solo uno spazio terapeutico, ma un ponte autentico tra i bambini e il mondo.

E a dirlo sono soprattutto loro, i piccoli redattori delle diverse edizioni.
“È stato bello condividere le esperienze”, “Mi sento più sicuro quando parlo”, “Ho imparato tante informazioni nuove”, “Mi mancherà”, “È stato un gioco di squadra”, “Un vulcano di emozioni”.

Il CRC News ha dato a questi ragazzi la possibilità di scoprire le proprie potenzialità, di credere in sé stessi, di esprimersi. Di raccontare e raccontarsi. Ha unito parola e relazione, cura e creatività.

Il CRC News ha rappresentato, davvero, un modo nuovo di fare riabilitazione.

Per leggerlo ecco a voi: https://www.crc-balbuzie.it/category/giornalino-crc/

Per ascoltarlo: https://open.spotify.com/show/4msAIxM0DYiTYf413fk9Ly

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Mutismo selettivo nei bambini: linee guida per famiglie, scuola e clinici

Il mutismo selettivo è un disturbo d’ansia che si manifesta in età evolutiva. Il bambino parla normalmente in contesti familiari, ma non riesce a farlo in ambienti sociali come la scuola. Si tratta di una condizione che, se non trattata, può perdurare fino all’adolescenza, influenzando negativamente la vita sociale, scolastica ed emotiva del bambino.

Cos’è il mutismo selettivo?

Classificato dal DSM-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) tra i disturbi d’ansia, il mutismo selettivo esordisce tra i 2 e i 4 anni, con prevalenza nelle femmine e nei bambini bilingui. Non va confuso con la timidezza: il silenzio non è temporaneo, ma persistente e si attiva solo in contesti specifici. Il bambino appare perfettamente comunicativo in casa, ma completamente bloccato in altri ambienti.

La diagnosi si basa su criteri chiari: l’incapacità di parlare deve essere continua per almeno un mese, non legata a difficoltà linguistiche o ad altri disturbi del neurosviluppo, deve interferire con la comunicazione sociale e/o il rendimento scolastico.

Fattori di rischio e vulnerabilità

Pur non essendo cause dirette, alcuni fattori possono aumentare la vulnerabilità del bambino: ansia sociale, separazioni difficili, cambiamenti importanti, ambienti multilingue, pressioni comunicative e stili educativi iperprotettivi. Comprendere questi elementi è fondamentale per impostare un intervento efficace e precoce.

Come riconoscere e gestire il disturbo in famiglia

A differenza della timidezza, il mutismo selettivo si manifesta con schemi prevedibili (determinate persone e/o situazioni) che si prolungano per settimane o mesi. I bambini non scelgono di restare in silenzio: si trovano in uno stato di blocco ansioso che impedisce loro di parlare.

Il caregiver, interpretando l’atteggiamento come introverso o oppositivo, tende a parlare al posto del bambino o a esonerarlo da qualsiasi interazione. In realtà questi comportamenti, seppur protettivi, rischiano di consolidare il disturbo. È invece fondamentale offrire un ambiente rassicurante, privo di pressioni, in cui ogni piccolo segnale comunicativo venga accolto e valorizzato.

Strategie educative nel contesto scolastico

Nel contesto scolastico è importante ridurre la pressione verbale. Evitare interrogazioni a sorpresa, richieste improvvise o commenti che evidenzino il silenzio del bambino. Le attività devono essere prevedibili, brevi, strutturate e con contenuti familiari. Gli insegnanti, se adeguatamente formati, possono diventare figure essenziali, capaci di creare un clima sereno e stimolante che favorisca la progressiva esposizione alla comunicazione.

Il mutismo selettivo rientra tra i Bisogni Educativi Speciali (BES). Può essere quindi previsto un PDP (Piano Didattico Personalizzato) o, nei casi più complessi, un PEI (Piano Educativo Individualizzato).

L’intervento clinico e il ruolo del logopedista

Il trattamento più efficace è integrato e multidisciplinare: prevede quindi la collaborazione di più figure professionali e l’applicazione di diversi approcci terapeutici che lavorino al contempo sul ridurre lo stato d’ansia, favorire l’elaborazione emotiva e coinvolgere famiglia e scuola, fondamentale per garantire continuità tra i contesti.

Nei paesi anglosassoni e in Germania, sebbene il mutismo selettivo sia associato a cause psicologiche, il logopedista ha un ruolo centrale nel suo trattamento.

L’intervento logopedico si concentra sul potenziamento delle abilità linguistiche e sociali attraverso tecniche come:

  • l’esposizione graduale consiste nell’esporre gradualmente un individuo a situazioni o stimoli che causano ansia, iniziando da quelli meno angoscianti e procedendo verso quelli più temuti;
  • il self-modeling inteso come imitazione di abilità o comportamenti attraverso l’osservazione di sé stessi in registrazione video;
  • la desensibilizzazione sistematica associata all’esposizione graduale, prevede tecniche di rilassamento finalizzate a ridurre la risposta ansiogena.

L’obiettivo è accompagnare il bambino dalla comunicazione a bassa pressione (tono calmo, non aggressivo in un ambiente di dialogo aperto e collaborativo) alla verbalizzazione spontanea nel rispetto dei suoi tempi.

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GLO e PEI: cosa sono e perché sono fondamentali per l’inclusione scolastica

Garantire un’istruzione realmente inclusiva è una sfida prioritaria per la scuola di oggi. In quest’ottica, due strumenti giocano un ruolo centrale: il GLO (Gruppo di Lavoro Operativo per l’Inclusione) e il PEI (Piano Educativo Individualizzato). Ma cosa sono esattamente, come funzionano e perché sono così importanti per il successo scolastico degli alunni con disabilità?

Cos’è il GLO e quale ruolo svolge nell’inclusione scolastica

Il GLO è il gruppo di lavoro che si occupa di progettare e monitorare il percorso educativo degli studenti con disabilità. Nato con il Decreto Legislativo 66/2017, il Gruppo di Lavoro Operativo per l’Inclusione coinvolge insegnanti, genitori, eventuali rappresentanti degli alunni e specialisti sanitari con l’obiettivo di costruire un progetto educativo che valorizzi le potenzialità di ogni studente.

Presieduto dal dirigente scolastico o da un suo delegato, il GLO si riunisce più volte durante l’anno scolastico per valutare non solo il raggiungimento degli obiettivi preposti, ma anche il livello di inclusione effettivamente raggiunto dal bambino e di conseguenza elaborare, aggiornare e verificare il Piano Educativo Individualizzato (PEI).

Che cos’è il PEI e perché è uno strumento indispensabile

Il Piano Educativo Individualizzato è un documento fondamentale che definisce gli obiettivi educativi, didattici e relazionali dell’alunno, le strategie necessarie per raggiungerli, le risorse messe a disposizione e le modalità di verifica.

Realizzato da un team multidisciplinare, il PEI tiene conto delle specifiche esigenze dello studente, dei suoi bisogni educativi e delle sue potenzialità di sviluppo. La sua forza risiede nella flessibilità: il PEI viene aggiornato durante l’anno per adattarsi ai cambiamenti e ai progressi dello studente, trasformandosi in un vero e proprio strumento dinamico al servizio dell’inclusione.

GLO e PEI: una sinergia per l’inclusione scolastica

Il GLO e il PEI non sono strumenti indipendenti, ma due elementi che lavorano in sinergia. Il GLO fornisce la cornice organizzativa e metodologica, all’interno del quale il PEI individua un percorso educativo su misura per ciascun alunno.

Tale collaborazione consente di mantenere coerenza e continuità nell’azione educativa, monitorare con attenzione i progressi e intervenire tempestivamente in caso di nuove esigenze, favorendo una scuola che non lascia indietro nessuno.

Quando deve essere convocato il GLO

La normativa prevede che il GLO si riunisca almeno tre volte durante l’anno scolastico:

  • all’inizio dell’anno (tra ottobre e novembre), per redigere o aggiornare il PEI;
  • in un momento intermedio (tra gennaio e marzo), per monitorare il percorso e apportare eventuali modifiche;
  • alla fine dell’anno scolastico (tra maggio e giugno), per valutare i risultati ottenuti e pianificare il passaggio all’anno successivo o a un altro ciclo scolastico.

Tuttavia, il GLO può essere convocato ogni volta che si manifesti la necessità di aggiornare il percorso educativo, garantendo un intervento tempestivo e mirato.

L’importanza della collaborazione tra scuola, famiglia e professionisti

La redazione di un PEI efficace e realmente inclusivo si basa su una stretta collaborazione tra scuola, famiglia e professionisti sanitari.

La scuola, attraverso l’osservazione quotidiana, ha il compito di individuare e valorizzare le capacità dell’alunno, proponendo strategie didattiche inclusive. La famiglia, con la sua conoscenza profonda della storia personale del bambino, fornisce informazioni preziose che arricchiscono il progetto educativo. I professionisti della salute mettono a disposizione competenze specialistiche indispensabili per la personalizzazione degli interventi.

Quando la comunicazione è aperta e il lavoro di squadra è autentico, il PEI diventa molto più di un documento formale: diventa un vero alleato nello sviluppo personale e scolastico dell’alunno, favorendo il pieno rispetto dei suoi tempi, delle sue caratteristiche e delle sue aspirazioni.

 

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Neurobiologia delle emozioni: un fragile equilibrio

Comprendere le emozioni e il loro sviluppo è fondamentale per genitori, educatori e specialisti dato il ruolo centrale giocato nel determinare le modalità in cui il bambino interagisce e percepisce il mondo circostante.

Tra i 4 e i 5 anni, secondo la “Teoria della Mente”, si sviluppa il meccanismo che permette ai bambini di capire che gli altri hanno emozioni e pensieri diversi dai propri. Tale fenomeno strettamente si origina in specifiche aree del cervello che gestiscono percezione, reazioni fisiologiche e apprendimento sociale.

Le aree cerebrali coinvolte nelle emozioni

Il cervello è diviso in quattro lobi (frontale, parietale, temporale e occipitale) e in diverse aree che interagiscono tra loro. Le emozioni derivano dall’attivazione di popolazioni neuronali della corteccia cerebrale, responsabile del pensiero razionale e della pianificazione.

I sentimenti, ovvero le esperienze emotive consapevoli, contribuiscono alle reti neuronali, la cui funzione è prevedere, apprendere e rivalutare gli stimoli e i contesti ambientali sulla base delle esperienze precedenti.

Il sistema limbico è cruciale per l’elaborazione delle emozioni: l’amigdala gioca un ruolo importantissimo nella paura, mentre l’ipotalamo regola le risposte fisiologiche (frequenza cardiaca, produzione di ormoni e pressione sanguigna), attivando il sistema nervoso autonomo per preparare il corpo alla risposta “lotta o fuga”.

La corteccia cingolata è associata alla gestione della risposta e al controllo del dolore mentre l’ippocampo contribuisce all’integrazione delle emozioni con la memoria permettendoci di ricordare eventi significativi. La consapevolezza e il controllo delle emozioni dipendono anche dalla corteccia prefrontale che si sviluppa più tardi nell’infanzia.

A queste strutture si affiancano i neurotrasmettitori, sostanze chimiche come dopamina, serotonina e noradrenalina, che influenzano umore, stress, motivazione e gestione della ricompensa.

Cosa accade quando è presente un Disturbo del Neurosviluppo?

Nel disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD), la corteccia prefrontale può essere attiva in modo atipico, limitando il controllo degli impulsi e provocando risposte emotive sproporzionate. Alcuni studi, inoltre, hanno mostrato come il volume delle strutture del sistema limbico possa essere inferiore con atipie nello sviluppo.

Nei bambini con diagnosi di disturbo dello spettro autistico (DSA) studi neuroimaging suggeriscono che l’amigdala elabora in modo diverso gli stimoli emotivi, le espressioni facciali e il tono della voce compromettendo l’interpretazione altrui. I bambini con DSA tendono a concentrarsi sulla parte inferiore del viso, evitando il contatto oculare: questo deficit nella teoria della mente, in particolare dei neuroni specchio (“riflettono” l’attività motoria altrui come se l’individuo stesse eseguendo l’azione stessa), contribuisce a creare difficoltà nelle interazioni sociali e nella comprensione dell’altro.

Nel caso del disturbo oppositivo-provocatorio (ODD), la difficoltà nell’autocontrollo emotivo potrebbe essere legata a disfunzioni nella corteccia prefrontale, che non riesce a moderare i comportamenti di sfida e opposizione.

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Leggere ai bambini sordi in italiano segnato: strategie per un’esperienza inclusiva

Leggere ai bambini sordi in italiano segnato è fondamentale per facilitare lo sviluppo linguistico e cognitivo. Abbiamo intervistato la dott.ssa Matilde Maria Marulli a proposito delle strategie necessarie per far si che sia un’esperienza inclusiva.

Intervista alla dottoressa Matilde Maria Marulli, Logopedista e referente del Polo Sordità del CRC

 

In cosa consiste l’italiano segnato e perché è importante proporlo ai bambini sordi?

L’italiano segnato è una modalità di comunicazione che abbina il linguaggio verbale italiano ai segni della LIS (Lingua dei Segni Italiana). È importante proporlo ai bambini sordi perché facilita l’accesso alla struttura della lingua parlata e scritta, favorendo un funzionale sviluppo cognitivo e linguistico attraverso una modalità visiva, bypassando l’ostacolo percettivo acustico.

 

Quali strategie utilizza per rendere la lettura in italiano segnato un’esperienza coinvolgente e inclusiva per i bambini sordi? Ci può fare un esempio pratico?

Tra le strategie utili per una lettura coinvolgente è necessario includere l’uso di immagini, di espressioni facciali e di un ritmo narrativo dinamico che mantenga alta l’attenzione di chi ascolta. Per esempio si può leggere un libro illustrato utilizzando un segno per ogni parola chiave e facendo domande per coinvolgere il bambino, come “Cosa pensi succederà ora?” accompagnandolo con il segno di “pensare”.

 

Il ruolo dei genitori nello sviluppo linguistico dei bambini è molto importante, come viene coinvolta la famiglia nella lettura in italiano segnato e con quali benefici?

Il coinvolgimento della famiglia avviene durante sessioni di formazione in cui si insegnano i segni principali (qualora uno o più componenti della famiglia siano udenti) e le tecniche di lettura condivisa. Questa collaborazione migliora la comprensione reciproca, rafforza il legame familiare, aumenta il senso di sicurezza e la motivazione all’apprendimento promuovendo uno sviluppo linguistico più ricco e completo.

 

Quali competenze specifiche devono sviluppare logopedisti, insegnanti e altri operatori per utilizzare l’italiano segnato in modo efficace durante la lettura con i bambini sordi?

Occorrono buona padronanza della LIS, capacità di adattare materiali e testi alle esigenze visive dei bambini e sensibilità, necessarie per stimolare la partecipazione attiva del bambino durante la lettura.

 

Quali sono le principali difficoltà che si incontrano nel proporre l’italiano segnato ai bambini piccoli? E quali prospettive vede per il futuro, sia in termini di ricerca che di applicazione pratica?

Senza dubbio, oggi, le principali barriere sono la reperibilità di materiali adatti e la mancanza di adeguata formazione per operatori e famiglie. Come logopedista penso sarebbe importante un maggiore investimento nella ricerca e nella creazione di risorse specifiche; ma ancor di più, sarebbe doveroso sostenere la persona sorda come una persona che può e deve avere pieno accesso, al pari degli udenti, a percorsi di studio, di formazione e di socializzazione. Questo significherebbe garantire un ambiente inclusivo e privo di barriere comunicative, dove la persona sorda possa sviluppare le proprie potenzialità, partecipare attivamente alla vita culturale e sociale, e costruire relazioni significative.

 

È fondamentale promuovere una visione della sordità non come limite, ma come una diversità che arricchisce il contesto umano e sociale, investendo in risorse, tecnologie e formazione per abbattere ogni forma di discriminazione.

 

Ne abbiamo parlato anche qui

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L’Alta Leggibilità e il progetto “Redazione Ragazzi”: un ponte verso la lettura inclusiva

Nel panorama editoriale italiano, l’Alta Leggibilità si distingue come una rivoluzione silenziosa ma potente, rendendo i libri accessibili a lettori con difficoltà di lettura.

Per comprendere meglio questa innovazione e il progetto “Redazione Ragazzi”, abbiamo raccolto le parole della Dottoressa Eleonora Pasqua, logopedista e referente dell’area ricerca del CRC, esperta e protagonista di questo percorso.

Intervista alla dott.ssa Eleonora Pasqua

Dottoressa Pasqua, ci ha parlato dei principi dell’Alta Leggibilità e del progetto Redazione Ragazzi. Cominciamo con una curiosità: come è nata l’idea della Redazione Ragazzi?

Eleonora Pasqua: Il CRC Balbuzie di Roma da sempre affianca alla terapia tradizionale attività stimolanti che possano far sperimentare ai ragazzi il senso di autoefficacia.  In particolare pensando ai ragazzi con dislessia volevamo offrire loro un contesto in cui scoprire il piacere della lettura attraverso una esperienza attiva che li rendesse consapevoli e protagonisti.

Dal 2011 collaboriamo con la casa editrice Biancoenero, specializzata in narrativa ad alta leggibilità e con loro abbiamo strutturato all’interno del CRC una vera e propria redazione di correttori di bozze, composta da ragazzi con DSA, per la correzione di libri in via di pubblicazione.

 

Abbiamo parlato dei principi generali dell’Alta Leggibilità, ma quali sono le caratteristiche principali che distinguono un libro progettato con questi criteri?

Un libro ad Alta Leggibilità è progettato con l’obiettivo di abbattere le barriere tipografiche che spesso rendono la lettura un processo faticoso. In particolare nei libri ad alta leggibilità vengono utilizzati specifici accorgimenti, quali l’uso di una font studiata per evitare confusione visiva ed agevolare la decodifica delle lettere, come il carattere Biancoenero®, e un’impaginazione specifica: righe non giustificate, spaziature ampie, paragrafi ben distanziati. Anche la carta utilizzata è particolare: opaca e di colore crema per ridurre i riflessi. Inoltre, viene condotto un lavoro sul testo al fine di ridurre eventuali ambiguità e incrementarne la comprensione.

 

In cosa consiste il lavoro della Redazione Ragazzi?

Viene costituito un gruppo di ragazzi con dislessia e viene affidata loro una bozza di un libro, che deve ancora essere pubblicato, inviata dalla casa editrice. L’età viene selezionata in base al libro proposto. Ciascun bambino corregge individualmente il testo con il supporto della propria logopedista: viene fatta una riflessione trasversale sulla comprensibilità dei contenuti,

 

l’intenzione comunicativa dell’autore, la complessità lessicale e sintattica, gli accorgimenti tipografici e la scelta e collocazione delle illustrazioni. Ciascun bambino indica modifiche e accorgimenti più mi idonei al fine di rendere il testo più fruibile, comprensibile e motivante.

Al termine del lavoro (circa un mese) viene organizzata una riunione di redazione con la casa editrice all’interno della quale si analizzano ed eventualmente approvano le modifiche proposte. Il libro viene successivamente pubblicato con in copertina il logo “approvato redazione ragazzi” e all’interno della copertina vengono scritti i nomi dei ragazzi che hanno composto il gruppo di correttori di bozze.

 

Lavorare sull’Alta Leggibilità significa semplificare i contenuti?

Assolutamente no. Lavorare sull’Alta Leggibilità non significa banalizzare, ma rendere il testo più comprensibile e accessibile. È un equilibrio tra chiarezza e ricchezza linguistica. Anche i testi narrativi mantengono lo stile dell’autore, ma sono adattati in modo da facilitare la lettura senza sacrificare la qualità.

Spesso si associa l’Alta Leggibilità alla dislessia. Ma a chi altri può essere utile?

L’Alta Leggibilità è pensata per tutti. Sebbene nasca per aiutare lettori con dislessia o difficoltà di lettura, i benefici si estendono ad ogni tipo di lettore. È un modo per rendere i libri più accessibili a un pubblico vasto e variegato. Per questo l’Alta Leggibilità è un concetto che inizia ad essere applicato anche in ambito scolastico, nella progettazione di materiali didattici, e persino nei contenuti digitali

Che feedback avete avuto in questi anni di redazioni?

Ad oggi abbiamo corretto e pubblicato con i nomi dei ragazzi circa 25 libri. Sono state esperienze bellissime sia dal punto di vista umano sia clinico. Ogni redazione è un’esperienza educativa e terapeutica. I ragazzi non solo migliorano le loro competenze linguistiche e di conoscenza della struttura del testo, ma scoprono anche il piacere della lettura in un contesto stimolante. Questo progetto, oltre a promuovere la lettura, insegna lavoro di squadra, rispetto per le scadenze e fiducia in sé stessi.

Quanto conta l’aspetto emotivo nella partecipazione al progetto?

Tantissimo. I ragazzi sviluppano un forte senso di appartenenza e autostima. Vedere il proprio nome tra i ringraziamenti di un libro è una soddisfazione enorme, che li motiva a impegnarsi sempre di più. Inoltre, si crea un ambiente di supporto reciproco, dove ogni partecipante si sente parte di qualcosa di più grande.

Conclusione: un invito alla lettura inclusiva

L’Alta Leggibilità non è solo una metodologia, ma una filosofia che trasforma la lettura in un’esperienza per tutti. Come afferma la dott.ssa Pasqua, “La lettura è un diritto, non un privilegio”. Scegliere libri progettati con questi criteri significa contribuire a costruire un mondo dove ogni lettore può sentirsi accolto e valorizzato.

 

Per approfondire:

Rivista digitale Erickson gennaio 2020

 

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Disturbi specifici dell’apprendimento: l’importanza della prevenzione

Intervista alla Dottoressa Valentina Guglielmi, Logopedista specializzata nei Disturbi del linguaggio e dell’apprendimento

Cosa sono i disturbi specifici dell’apprendimento? È possibile individuarne precocemente i fattori di rischio?

I disturbi specifici dell’apprendimento sono definiti dal DSM V come disturbi del neurosviluppo che riguardano la capacità di leggere, scrivere e calcolare in modo corretto e fluente. 

La diagnosi di DSA può essere fatta alla fine della seconda classe primaria per il disturbo di lettura e scrittura (dislessia, disortografia e disgrafia) e al termine della terza per il disturbo del calcolo (discalculia). La diagnosi viene eseguita da un’equipe multidisciplinare che comprende vari specialisti di riferimento (il Neuropsichiatra Infantile, lo psicologo, il logopedista. il terapista della neuro e psicomotricità evolutiva) attraverso la somministrazione di prove standardizzate.

Successivamente alla diagnosi viene tracciato un percorso riabilitativo volto a supportare e/o a compensare le aree inficiate.

Ad oggi si parla ancora molto poco di prevenzione dei disturbi specifici dell’apprendimento.

Già durante la scuola dell’infanzia è, infatti, possibile individuare dei possibili fattori di rischio.

Monitorare il livello di sviluppo dei bambini di 3, 4 e 5 anni permette con sufficiente affidabilità, cioè, con una bassa percentuale di falsi positivi e di falsi negativi, quelli che risulterebbero a rischio di successive difficoltà scolastiche.

Quali sono i fattori di rischio dei disturbi specifici dell’apprendimento in età prescolare?

Sono a rischio i bambini che presentano caratteristiche quali:

  • un ritardo di linguaggio o disturbi del linguaggio nella componente recettiva e/o espressiva;
  • difficoltà nella motricità fine (intoppi dell’impugnatura della penna o difficoltà nell’utilizzo di oggetti come le forbici, nell’allacciarsi le scarpe o nell’abbottonare i bottoni);
  • difficoltà nella coordinazione e nell’integrazione visuo-motoria (problemi nella realizzazione spontanea o nella copia di una forma o di un disegno, difficoltà nel riprodurre una costruzione partendo da un modello, difficoltà nell’eseguire percorsi grafici con la matita, difficoltà nel fare puzzle)
  • difficoltà nell’acquisizione delle competenze metafonologiche
  • difficoltà nell’acquisizione dei prerequisiti alla matematica
Cosa sono le competenze metafonologiche?

Verso i 4-5 anni si assiste ad una stabilizzazione del sistema fonologico e il bambino completa il repertorio dei suoni che compongono il linguaggio parlato.

Durante l’ultimo anno della scuola materna il bambino acquisisce una consapevolezza fonologica globale e, se opportunamente stimolato, inizia a manipolare i suoni del linguaggio, cominciando dalle unità più rilevanti: le sillabe.

La capacità di compiere per via uditiva una buona analisi dei suoni che costituiscono il linguaggio viene definita metafonologia e riguarda la discriminazione, la classificazione, la fusione e la segmentazione dei suoni.

Nello specifico il bambino impara a:

  • dividere in sillabe una parola (segmentazione sillabica)
  • unire/mettere insieme le sillabe per formare una parola (sintesi sillabica)
  • saper individuare la sillaba iniziale di una parola e riconoscere una rima
  • discriminare due parole che iniziano con lo stesso suono o con suoni differenti

L’italiano è una lingua trasparente, nella quale esiste una correlazione tra l’aspetto acustico dell’informazione e il codice grafemico corrispondente. Per tale motivo, le abilità metafonologiche sono considerate l’indice predittivo più affidabile dell’apprendimento del codice scritto.

Quali sono i prerequisiti della matematica?

L’intelligenza numerica è la capacità ci comprendere il mondo che ci circonda in termini di numeri e quantità.

Sappiamo che la caratteristica che la rende così importante per lo sviluppo è la sua precocità. Nasciamo già con la predisposizione a sviluppare il senso del numero e comprenderlo dal punto di vista concettuale.

È importante stimolare i bambini piccoli per rafforzare lo sviluppo delle abilità numeriche.

Già da scuola dell’infanzia è possibile proporre attività specifiche:

  • conteggio (contare da 1 a 20 e da 10 a 1)
  • riconoscere e denominare i numeri da 1 a 9
  • scrivere i numeri da 1 a 5 (capita spesso che i numeri vengano scritti al contrario come se li guardassimo allo specchio. In questo caso i bambini hanno bene in mente il numero e sanno scriverlo ma bisogna correggere l’orientamento spaziale)
  • seriazione di numeri (mettere in ordine i numeri da 1 a 5)
  • completamento di seriazioni (sapere quali numeri mancano in una serie)
  • saper confrontare quantità diverse e sapere quale è di più e quale è di meno
  • indicare la corrispondenza tra il numero scritto in codice arabico e la quantità fino al 9
  • ordinare oggetti dal più grande al più piccolo e viceversa
  • comparare due numeri e indicare quale è maggiore (sempre fino al 9)
Qual è il ruolo della scuola?

Molte delle attività svolte dalla scuola materna, soprattutto durante l’ultimo anno, dovrebbero avere come finalità l’acquisizione dei prerequisiti necessari per affrontare con successo l’apprendimento della letto-scrittura e del calcolo.

Parliamo di stimolazione delle abilità visuo-percettive e grafo-motorie propedeutiche all’aspetto esecutivo della scrittura, di stimolazione di competenze linguistiche, in particolare quelle metafonologiche e di stimolazione delle abilità numeriche.

L’insegnante deve saper osservare, valutare, intervenire

È fondamentale, dunque, cercare di diffondere il più possibile una collaborazione tra clinici, insegnanti e famiglie per promuovere programmi di screening nelle scuole ed iniziare, prima ancora dell’ingresso nella scuola primaria, un training di potenziamento con finalità preventive.

La testimonianza della dott.ssa Daniela Lomasto, insegnante di sostegno in una scuola primaria:

 

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Caregiver, genitori e insegnanti: i protagonisti della Giornata europea della logopedia 2024

Il 6 marzo è la Giornata Europea della Logopedia, un’occasione per riflettere sull’importanza della comunicazione e celebrare il lavoro straordinario dei logopedisti. Quest’anno, la Federazione dei Logopedisti (FLI) dedica particolare attenzione ai caregiver, talvolta famiglie e insegnanti, riconoscendo il loro ruolo cruciale nel supportare i bambini con disturbi del neurosviluppo.

Il Caregiver nel trattamento logopedico

Secondo le statistiche, circa un milione di caregiver in Italia assiste pazienti con disturbi del linguaggio, fornendo loro sostegno nelle cure logopediche. Queste figure svolgono un ruolo fondamentale come partner comunicativi, utilizzando approcci codificati come il Communication Partner Training o la Comunicazione Aumentativa Alternativa per favorire il dialogo e l’interazione.

Il sostegno dei caregiver è particolarmente prezioso in caso di disturbi come l’afasia o le difficoltà comunicativo-linguistiche, dove agiscono come veri e propri ponti comunicazionali. Inoltre, nei casi di disturbi della deglutizione, i caregiver forniscono un aiuto essenziale nell’organizzare e gestire i pasti secondo le indicazioni del logopedista, garantendo la sicurezza e il benessere della persona assistita.

L’importanza della collaborazione

Le famiglie sono spesso i primi educatori dei bambini e hanno un’influenza significativa sul loro sviluppo linguistico e comunicativo. Come figure di riferimento, svolgono un ruolo cruciale nel fornire un ambiente favorevole e nel supportare l’intero processo di diagnosi, trattamento e gestione dei sintomi associati a tali disturbi. Offrono sostegno emotivo e psicologico, contribuiscono alla formazione di una solida autostima, aiutano i bambini ad affrontare le sfide quotidiane e li guidano nel gestire lo stress legato ai loro disturbi.

La collaborazione con professionisti della salute, quali logopedisti, psicologi e terapisti della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva per garantire, sviluppare e implementare strategie terapeutiche efficaci, personalizzate sulle esigenze specifiche di ogni bambino.

Ognuno di questi attori gioca un ruolo unico nel percorso di guarigione del bambino e la loro collaborazione può fare la differenza nel raggiungimento degli obiettivi terapeutici.

Genitori e insegnanti possono diventare parte attiva nell’implementazione delle strategie terapeutiche, sotto la guida dei professionisti della salute e attraverso percorsi di counseling genitoriali e Teacher Training. Questo coinvolgimento può riguardare l’uso di tecniche mirate per supportare il linguaggio e la comunicazione, offrendo un contributo concreto al percorso di trattamento.

In alcuni casi, si veda ad esempio il Project ImPACT, metodo ideato dalla Prof.ssa Brooke Ingersoll, il genitore ha un ruolo centrale nella riabilitazione del bambino, guidato dallo specialista, mette in atto le strategie di intervento terapeutico. Il modello, infatti, prevede la formazione del genitore che, dopo un periodo con l’operatore, sarà in grado di stabilire e raggiungere obiettivi, svolgendo autonomamente la terapia con il proprio figlio.

Genitori e insegnanti

I disturbi dell’apprendimento, come la dislessia e la discalculia, possono rappresentare sfide significative per i bambini nel contesto scolastico e sociale. Anche in questo caso, i genitori e gli insegnanti giocano un ruolo fondamentale nel supportare il bambino nel suo percorso educativo.

I caregiver possono collaborare con i logopedisti e altri professionisti della salute per identificare le difficoltà specifiche del bambino e sviluppare strategie di intervento personalizzate. Attraverso un approccio multidisciplinare e un sostegno continuo, i genitori e gli insegnanti possono aiutare il bambino a superare le sfide e a raggiungere il suo pieno potenziale. Dovranno essere sensibili alle esigenze individuali e collaborare attivamente con i logopedisti per implementare le strategie terapeutiche anche a scuola.

La formazione degli insegnanti sull’identificazione precoce dei disturbi del linguaggio e sull’adozione di approcci inclusivi è fondamentale per garantire un ambiente educativo accogliente e stimolante per tutti i bambini.

L’ambiente scolastico

Un altro aspetto cruciale è la creazione di un ambiente di apprendimento positivo e inclusivo, soprattutto per i bambini con disturbi dell’apprendimento. Gli insegnanti, in particolare, svolgono un ruolo chiave in questo contesto, adottando approcci educativi differenziati e sensibili alle singole esigenze.

Promuovere l’inclusione sociale è un’altra sfida importante. Genitori e insegnanti devono lavorare in tandem per garantire che i bambini si sentano accolti e inclusi nella società. Questo può comportare la creazione di eventi e attività inclusivi e l’educazione dei coetanei sulla diversità e l’accettazione.

Nel caso di diagnosi comportamentali (ADHD, DOP), i caregiver e gli insegnanti devono essere particolarmente attenti nel fornire un ambiente strutturato e supportivo per il bambino. Essi possono contribuire ad adottare strategie di gestione del comportamento, stabilire limiti chiari e coerenti, offrire un sostegno emotivo e aiutare il bambino a sviluppare abilità di autocontrollo, di risoluzione dei problemi e di gestione dello stress.

Il coinvolgimento attivo dei caregiver e degli insegnanti è essenziale per il successo del trattamento e il benessere complessivo del bambino. L’adozione di un approccio collaborativo e multidisciplinare può fare la differenza nel garantire un sostegno completo e mirato, favorendo così una migliore qualità di vita per il bambino e la sua famiglia.

Inoltre, è fondamentale che queste figure monitorino i progressi e si assicurino che il trattamento prescritto venga seguito con attenzione. Questo costante feedback è cruciale per adattare il trattamento alle mutevoli esigenze dei bambini.

Genitori e insegnanti nel trattamento della Balbuzie

La balbuzie è un disturbo della fluenza del linguaggio che può influenzare significativamente la comunicazione e l’autostima di un individuo. Nel trattamento della balbuzie, i caregiver, in particolare i genitori e gli insegnanti, giocano un ruolo chiave. Gli studi hanno dimostrato che l’atteggiamento e la reazione del caregiver possono influenzare notevolmente il modo in cui il bambino affronta e gestisce la sua balbuzie.

Lavorare in maniera integrata, anche sul contesto ambientale in cui l’individuo è inserito è fondamentale, al fine di ottimizzare l’efficacia dell’intervento terapeutico, modulando i fattori ambientali, affinché essi si configurino come dei facilitatori e delle risorse protettive per l’individuo (Ruben, 2000)

Alcuni studi hanno ipotizzato che: “un’attitudine negativa, mostrata dai genitori […] possa indurre nel bambino sentimenti negativi, favorendone la strutturazione di un quadro sindromico persistente. (Brutten e Shoemaker, 1967; Van Riper, 1982).

Inoltre, è stato rilevato che i genitori dei pazienti balbuzienti mostrano una maggiore tendenza a instaurare con i propri figli scambi verbali insoddisfacenti caratterizzati da frequenti interruzioni e/o correzioni e l’utilizzo soprattutto di domande e comandi diretti.

Per questo è importante intervenire, i genitori e gli insegnanti devono essere formati per fornire un ambiente di supporto e accettazione al bambino che balbetta. Attraverso l’uso di strategie di comunicazione efficaci e attraverso l’incoraggiamento positivo, i caregiver possono aiutare il bambino a sviluppare una maggiore fiducia nelle proprie abilità linguistiche e a gestire la sua balbuzie in modo più efficace.

Sensibilizzare gli insegnanti nei confronti delle possibili difficoltà dei bambini, rappresenta un elemento protettivo rispetto al buon inserimento nel gruppo classe e al prevenire ed evitare fenomeni di bullismo. Introdurre attività integrate, elaborate dagli insegnanti in sinergia con le figure sanitarie, può favorire una maggiore conoscenza e quindi desensibilizzazione degli alunni verso il disturbo.

In conclusione

I caregiver, compresi i genitori e gli insegnanti, svolgono un ruolo insostituibile nel trattamento dei disturbi del neurosviluppo. La Giornata della Logopedia del 2024 ci offre l’opportunità di riconoscere e celebrare il loro impegno e la loro dedizione nel garantire il benessere e il successo dei trattamenti. La collaborazione tra caregiver e professionisti della salute è fondamentale per fornire un supporto completo e mirato, favorendo così una migliore qualità di vita per i bambini e le loro famiglie.

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