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Mutismo selettivo nei bambini: linee guida per famiglie, scuola e clinici

Il mutismo selettivo è un disturbo d’ansia che si manifesta in età evolutiva. Il bambino parla normalmente in contesti familiari, ma non riesce a farlo in ambienti sociali come la scuola. Si tratta di una condizione che, se non trattata, può perdurare fino all’adolescenza, influenzando negativamente la vita sociale, scolastica ed emotiva del bambino.

Cos’è il mutismo selettivo?

Classificato dal DSM-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) tra i disturbi d’ansia, il mutismo selettivo esordisce tra i 2 e i 4 anni, con prevalenza nelle femmine e nei bambini bilingui. Non va confuso con la timidezza: il silenzio non è temporaneo, ma persistente e si attiva solo in contesti specifici. Il bambino appare perfettamente comunicativo in casa, ma completamente bloccato in altri ambienti.

La diagnosi si basa su criteri chiari: l’incapacità di parlare deve essere continua per almeno un mese, non legata a difficoltà linguistiche o ad altri disturbi del neurosviluppo, deve interferire con la comunicazione sociale e/o il rendimento scolastico.

Fattori di rischio e vulnerabilità

Pur non essendo cause dirette, alcuni fattori possono aumentare la vulnerabilità del bambino: ansia sociale, separazioni difficili, cambiamenti importanti, ambienti multilingue, pressioni comunicative e stili educativi iperprotettivi. Comprendere questi elementi è fondamentale per impostare un intervento efficace e precoce.

Come riconoscere e gestire il disturbo in famiglia

A differenza della timidezza, il mutismo selettivo si manifesta con schemi prevedibili (determinate persone e/o situazioni) che si prolungano per settimane o mesi. I bambini non scelgono di restare in silenzio: si trovano in uno stato di blocco ansioso che impedisce loro di parlare.

Il caregiver, interpretando l’atteggiamento come introverso o oppositivo, tende a parlare al posto del bambino o a esonerarlo da qualsiasi interazione. In realtà questi comportamenti, seppur protettivi, rischiano di consolidare il disturbo. È invece fondamentale offrire un ambiente rassicurante, privo di pressioni, in cui ogni piccolo segnale comunicativo venga accolto e valorizzato.

Strategie educative nel contesto scolastico

Nel contesto scolastico è importante ridurre la pressione verbale. Evitare interrogazioni a sorpresa, richieste improvvise o commenti che evidenzino il silenzio del bambino. Le attività devono essere prevedibili, brevi, strutturate e con contenuti familiari. Gli insegnanti, se adeguatamente formati, possono diventare figure essenziali, capaci di creare un clima sereno e stimolante che favorisca la progressiva esposizione alla comunicazione.

Il mutismo selettivo rientra tra i Bisogni Educativi Speciali (BES). Può essere quindi previsto un PDP (Piano Didattico Personalizzato) o, nei casi più complessi, un PEI (Piano Educativo Individualizzato).

L’intervento clinico e il ruolo del logopedista

Il trattamento più efficace è integrato e multidisciplinare: prevede quindi la collaborazione di più figure professionali e l’applicazione di diversi approcci terapeutici che lavorino al contempo sul ridurre lo stato d’ansia, favorire l’elaborazione emotiva e coinvolgere famiglia e scuola, fondamentale per garantire continuità tra i contesti.

Nei paesi anglosassoni e in Germania, sebbene il mutismo selettivo sia associato a cause psicologiche, il logopedista ha un ruolo centrale nel suo trattamento.

L’intervento logopedico si concentra sul potenziamento delle abilità linguistiche e sociali attraverso tecniche come:

  • l’esposizione graduale consiste nell’esporre gradualmente un individuo a situazioni o stimoli che causano ansia, iniziando da quelli meno angoscianti e procedendo verso quelli più temuti;
  • il self-modeling inteso come imitazione di abilità o comportamenti attraverso l’osservazione di sé stessi in registrazione video;
  • la desensibilizzazione sistematica associata all’esposizione graduale, prevede tecniche di rilassamento finalizzate a ridurre la risposta ansiogena.

L’obiettivo è accompagnare il bambino dalla comunicazione a bassa pressione (tono calmo, non aggressivo in un ambiente di dialogo aperto e collaborativo) alla verbalizzazione spontanea nel rispetto dei suoi tempi.

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